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Prefazione di György Lukács
Una riflessione segnata dalla profonda diffidenza verso ogni forma di assunto dogmatico, un’utopia razionale che vuole aprirsi al futuro e accettare la modernità. Questa è la profonda convinzione di Ágnes Heller. Una filosofia “radicale”, cioè una forma di politica che si ammanta di un abito filosofico: “per principio, ogni filosofia è radicale. Lo è perché opponendosi al pensiero ordinario, ci indica che quanto crediamo vero non lo è affatto, e ciò che riteniamo giusto è solo un’opinione”. “Sociologia della vita quotidiana” è una delle sue opere principali: la Heller afferma che i “bisogni” sono il punto di avvio per capire le trasformazioni sociali. La filosofa, infatti, non deve più partire dalla stratificazione sociale, poiché “i bisogni umani non possono essere stratificati”. In contrasto con la tradizione filosofica moderna, che ha origine in Kant, secondo cui i bisogni sono quantificabili, la Heller sostiene che i bisogni dell’uomo possono essere divisi in due categorie. Da una parte vi sono i bisogni alienanti, che riguardano il possesso di beni, soldi e potere. Essi hanno una natura quantitativa, che non lascia mai appagati. Dall’altra vi sono i bisogni che attengono alla più intima radice dell’uomo. E, per questo motivo, la Heller li chiama bisogni “radicali”. Essi riguardano l’introspezione, l’amicizia, l’amore, la convivialità ed il gioco. La loro natura non è quantitativa ma qualitativa: ciò che conta è la loro profondità, non la loro estensione.
Ágnes Heller (Budapest, 12 maggio 1929) è una delle più ascoltate filosofe contemporanee, massimo esponente della “Scuola di Budapest”. Allieva, poi assistente e collaboratrice di G. Lukács. Nel 1959 viene espulsa dall’università e poi anche dal partito per aver sostenuto “le idee false e revisioniste” di Lukács e costretta ad insegnare in una scuola media mentre i suoi scritti vengono sottoposti al veto di pubblicazione. Nel 1968 protesta contro l’intervento sovietico in Cecoslovacchia. Viene licenziata dall’Accademia nel 1973 con l’accusa di aver negato la realtà socialista del suo paese. Attualmente è ritornata in Ungheria ma insegna anche alla New School for Social Research di New York.